Una vita per la natura Helmar Schenk
il volume è edito da L’Unione Sarda
Venerdì 24 aprile 2015 alle ore 10.30
sala conferenze del Parco di Molentargius – Edificio Sali Scelti Via La Palma – Cagliari
Un libro per ricordare Helmar Schenk, ornitologo tedesco ” sardo di adozione” che ha contribuito profondamente alla conoscenza della natura della Sardegna .
Mauro Aresu, Alberto Fozzi e Bruno Massa hanno raccolto una serie di scritti di persone che hanno conosciuto e stimato questa grande figura, da poco scomparsa
Questo è il ricordo che io ho di lui:
Conobbi Helmar a Roma all’inizio degli anni Settanta.
Era venuto per una conferenza sugli animali della Sardegna, organizzata dal WWF, e, sebbene a quell’epoca avessi poco più di quattordici anni, mi prese molto sul serio quando gli raccontai le osservazioni ornitologiche che avevo compiuto con i miei fratelli e mio padre nella sua isola, durante le vacanze di Pasqua nel 1974.
Quel viaggio era stato preceduto dalla meticolosa consultazione degli scritti di Helmar pubblicati nel volume Una vita per la natura e delle altre relazioni che ero andato scovando nella biblioteca del WWF.
Più o meno otto anni dopo, mi ritrovai in Sardegna d’estate, in compagnia di Michela, che poi sarebbe diventata mia moglie, con l’idea di unire al consueto viaggio ornitologico, che tentavo di presentare come periodo di ferie, un po’ di vacanze perchè da lì a qualche giorno sarei dovuto partire per il servizio militare.
Passammo da Helmar e di lui il ricordo più simpatico fu la spedizione nello stagno di Molentargius. Affrontò a piedi nudi quella magnifica, ma indubbiamente fangosa zona umida di Cagliari, per osservare un gambecchio nano, riducendoci in condizioni pietose. Quando tornammo a casa sua, dove ci aspettavano la moglie e le due figliole, Helmar fu infilato nella vasca da bagno come un bambino.
Ho sempre avuto una grande ammirazione e simpatia per quest’uomo dall’indefinibile accento sardo-tedesco, per la matura e ampia conoscenza dei fenomeni naturali, per la capacità di mettere su una famiglia vivendo del suo lavoro di ornitologo in tempi lontani e in una realtà sociale ed ambientale, la Sardegna degli anni Sessanta e Settanta, in cui parlare di grifoni e fenicotteri era quasi una follia.
Helmar lo ha fatto e se ho potuto studiare con profitto, e poi filmare e raccontare uno dei miei animali preferiti, la gallina prataiola, lo devo anche a lui.
In quell’estate del 1982 Helmar mi indicò le zone dove le galline prataiole sostavano d’estate, terminata la nidificazione, e andai a visitarle insieme a Michela.
Mi affezionai a quel mondo rurale e pastorale della Sardegna interna, ben noto a Helmar e a Mauro Aresu, e da allora, ogni anno, vi sono tornato per studiare la danza nuziale dei maschi della gallina prataiola e per raccontare la vita delle nostre steppe mediterranee, ambienti fra i più ricchi e minacciati di tutta l’Europa.
Ad Helmar , alla sua rude amicizia e al suo fanciullesco amore e interesse per la natura, dedico le righe che seguono
“ Arrivai in Sardegna sul far del giorno, in un piccolo porto costituito da un semplice molo al centro di una baia dalle acque di cristallo sul cui fondale si vedeva un prato subacqueo di posidonie.
Il caos dell’imbarco nel porto di Civitavecchia, la sera prima, sembrava già lontanissimo nel tempo e nello spazio.
Le rocce granitiche del golfo degli Aranci , ancora più rosse del solito nella luce dell’alba, emergevano da un mantello di cisti, mirti, ginestre spinose sempreverde e odoroso. C’era il volo del corvo imperiale in aria con il suo sonoro gracchiare , il turbinare delle rondini montane e dei rondoni maggiori , il volo leggero dei gabbiani corsi che battevano il tratto di mare fra lo scoglio del Figarolo e Capo Figari.
Non poteva esserci benvenuto migliore per chi aveva passato la notte sul ponte del traghetto, stretto ai propri bagagli .
Andare in Sardegna per un naturalista era come fare un viaggio all’estero per la straordinaria ricchezza di animali e la vastita’ dei paesaggi che in terraferma e’ dato di trovare ormai quasi esclusivamente in montagna.
La Sardegna e’ considerata la cassaforte della natura del Mediterraneo. Scarsamente abitata, montuosa e difficilmente accessibile ha conservato antichi paesaggi boscosi e pastorali . E’ un alternarsi di alture granitiche e in parte calcaree, soprattutto nella zona del monte Albo e del Gennargentu, con grandi boschi di leccio e di roverella , di ondulazioni piu’ modeste coperte da un mantello di macchia basso e reso ancora piu intrcato dai ricorrenti incendi. I sistemi collinari e montuosi sono interrotti da altipiani e pianori ampi, destinati adll’agricoltura estesiva e soprattutto al pascolo delle greggi, paradiso di galline prataiole e uccelli delle steppe, che nulla hanno da invidiare, per maestosita’ del paesaggio e ricchezza di vita, alle grandi estensioni asiatiche.
Sospeso per aria un uccello trillava senza soste. Era la calandra, la piu’ massiccia fra le allodole. Cicaleccia per segnalare la sua proprieta’ terriera servendosi di un vocabolario vario, dal momento che imita il canto degli altri uccelli. A volte la si sente strillare come un gheppio, gorgheggiare come una calandrella, fischiettare come un beccamoschino: e’ sempre lei, la calandra, puntolino nel cielo azzurro.
Il suo repertorio canoro è influenzato dagli uccelli che frequentano il suo territorio , così nelle zone molto aride il suo linguaggio è un pastiche di trilli di calandrella, strillozzo e allodola e calandro intercalati dal trek trek del saltimpalo. Ma basta che ci sia un nido di gruccione nei pressi perchè ne imiti subito il liquido e garrulo richiamo .Apprezza molto le note acute dei falchi e le inserisce subito nei suoi pezzi preferiti, ma non si lascia sfuggire l’occasione di imitare il fischio del piro piro boschereccio e della pantana se questi trampolieri passano vicino attirati da una zona paludosa.
Le pecore pascolano in vasti pascoli incolti, e a sera vengono ricoverate in stazzi e nuraghi di pietra.
Lunghi muri a secco di pietre delimitano le proprieta’.
Quando arrivai era inziata la stagione piu’ bella, la primavera. Dopo le piogge invernali, le steppe sarde si riempiono di fiori : asfodeli, papaveri, ancuse, iris, orchidee, composite bianche, gialle, rosse azzurre violette seguite poi da un mare di cardi tanto spinosi quanto belli, che formano una cortina densa e impenetrabile che nasconde molti animali selvatici.
La mia meta era la piana del Logudoro, fra Chilivani, Oschiri e il lago del Coghinas nel sassarese . Dominata dall’austera mole del nuraghe Burghiddu, era una distesa di prati dove viveva, e ancora vive, una consistente popolazione di gallina prataiola.
Sa pudda campina, come dicono i sardi, è un uccello grande come un pollo e appartiene alla famiglia delle otarde, imparentate con le gru, e ha un volo forte e veloce : niente a che vedere quindi con la comune gallina.
Sono animali indolenti che possono restare fermi per un’ora all’ombra di un cardo, poi al tramonto, si trasformano.
E così li osservavo e li filmavo.
Il maschio, bellissimo, prendeva posto al centro del suo territorio, calpestava con le zampe il terreno, lanciava uno scoppiettante richiamo che sembra una pernacchia e saltava in aria mulinando le ali candide.
Nel buio che a poco a poco avvolgeva il prato lo spettacolo messo in atto dai ballerini era suggestivo : lampeggiavano i flash bianchi a intervalli di qualche secondo, accompagnati dal ritmico scoppiettare dei richiami.
E mentre il crepuscolo cedeva il posto alla notte al verso della gallina prataiola si aggiungeva un trillo lamentoso e malinconico, il fischio dell’occhione che sulle lunghe e nodose zampe gialle correva fra gli asfodeli e le stipe in cerca di piccoli insetti.
Il succiacapre iniziava le sue cacce notturne alle falene, l’usignolo gorgheggiava da un perastro , il rospo smeraldino emetteva il suo trillo malinconico dal muretto di pietre.
E ai galli che saltavano le femmine si avvicinavano furtive per unirsi.”
Francesco Petretti