La violenta alluvione di novembre, provocata da una “bomba d’acqua ” che ha scaricato sulla Sardegna orientale in poche ore più della metà della pioggia che cade nel corso di un intero anno, porta a fare alcune doverose considerazioni sul nostro rapporto con l’ambiente .
Anche in Italia piove e non è una novità. Buona parte delle precipitazioni annue si concentra in autunno e in inverno , periodo delle giornate brevi e uggiose, delle foglie che cadono, delle castagne e dei tartufi, ma anche e soprattutto stagione di piogge di ogni tipo e intensità: pioggerelle sottili, acquazzoni torrenziali, temporali e rovesci.
A volte le piogge sono più intense del solito e, con il concorso di altri fattori ambientali, provocano i disastri di cui tutti noi siamo stati angosciati spettatori e a volte sbigottite vittime nelle scorse settimane. Torrenti in piena che spazzano i centri abitati, campagne e cittadine che finiscono sotto strati di fango, negozi e appartamenti al piano terra pieni di acqua limacciosa che distrugge tutto quanto una famiglia o un’azienda può avere di importante e di caro.
La Sardegna quest’anno, e prima la Maremma, l’Umbria, Genova, il Veneto, Salerno, Messina, Massa. L’elenco purtroppo è assai lungo e ci obbliga a riflettere sulla situazione di evidente precarietà che contraddistingue il nostro territorio e che ha radici in parte naturali in parte frutto dell’attività dell’uomo.
Che l’acqua sia uno dei più importanti fattori di trasformazione e modellamento del territorio lo sanno anche i bambini della scuola elementare : alcune pianure non a caso sono chiamate alluvionali proprio perchè sono formate dai sedimenti accumulati in migliaia di anni dai fiumi ingrossati dalla pioggia.
La Val Padana esiste grazie alla pioggia e alle alluvioni, altrettanto la valle del Tevere e le altre zone fertili e urbanizzate del nostro territorio per buona parte montuoso e poco produttivo. Proprio dove le alluvioni hanno colmato le depressioni con limi e sabbie sono sorte le grandi città, i grandi stabilimenti industriali e le forme più moderne e redditizie di agricoltura.
Grazie alla pioggia e alle alluvioni. E qui ci fermiamo, perchè saggezza avrebbe voluto che l’uomo avesse mantenuto una distanza di sicurezza dall’alveo dei fiumi e dei torrenti e avesse messo la sua vita e i suoi beni al riparo dalle alluvioni che si sarebbero inevitabilmente verificate a intervalli irregolari e imprevedibili. Ma la fame del territorio e l’arrogante disprezzo per la forza della natura hanno portato gli uomini a costruire in situazioni incredibili nella assurda presunzione che non si sarebbe mai ripetuto quanto padri e nonni avevano raccontato.
Ma il mondo non è una fotografia statica, è un film che scorre, un film in cui la scena cambia continuamente e noi, volenti o nolenti , ne dobbiamo tener conto. Costruire sulle pendici di un vucano, nell’alveo di una fiumara, prigioniera ma non piegata, sotto il costone di una montagna richiede una buona dose di incoscienza. Se la pioggia provoca disastri non è colpa del Padreterno, ma di chi ha ignorato le più elementari regole di prudenza e, invece di piantare alberi e mantenere gli argini, ha lasciato che la roccia e la terra restassero esposte, come pelle nuda, alla violenza della pioggia.