il mandrillo, scimmia della foresta occidentale africana
Fra gli animali una femmina farà di tutto per farsi fecondare dal maschio che lei ha scelto e lei ha sedotto e al maschio resta il compito, effettivamente oneroso e in alcuni casi letale, di comunicare alle potenziali compagne di essere il miglior partito sulla piazza. La natura ha fatto sì che la prestanza di un maschio si manifesti attraverso alcuni segnali chiave di facile interpretazione: il numero “degli occhi” sulla coda del Pavone, le dimensioni delle corna negli Ungulati, la velocità e la resistenza nella corsa nel Camoscio, la potenza del canto nel Pettirosso. I figli di animali che eccellono per questi caratteri saranno robusti, resistenti alle malattie, prolifici. Per dirla con un termine greco kalòs kai agatòs, “bello e buono”. Ma per fortuna fra gli uomini contano anche l’intelligenza, l’arguzia, il fascino e non solo l’ esibizionismo fisico.
Quando il maschio sexy rischia la vita
La zoologa Marion Petrie dell’Università di Oxford ha seguito lo sviluppo di alcune centinaia di pulcini di Pavone e ha potuto verificare che i pulcini più sani e più forti erano i figli dei maschi che avevano la coda più grande e più bella. La prole di maschi dalle piume misere moriva nel corso dei primi due anni di vita. Le femmine erano in grado di valutare la prestanza fisica dei pavoni in base al numero degli occhi sulla loro coda: bastava eliminarne alcuni con le forbici perché i maschi così trasformati venissero sistematicamente ignorati dalle pavonesse.
A volte non è la bellezza dell’animale a testimoniare la sua valentia, ma la singolarità delle sue creazioni. L’Uccello giardiniere, parente delle paradisee ma meno spettacolare, non può contare sul suo piumaggio per sedurre la femmina per questo estende il concetto di bellezza personale a una piccola creazione artistica che realizza, con il suo becco, all’interno della foresta australiana e della Nuova Guinea dove vive.
Si tratta di un “giardino”, un piccolo spiazzo sul terreno accuratamente pulito dal fogliame morto e nel quale l’Uccello giardiniere dispone ramoscelli e steli d’erba a formare un baldacchino, un corridoio il cui pavimento tappezza di petali di fiori, bacche colorate, perfino tappi di bottiglia e altri oggetti luccicanti che riesce a trovare. La femmina viene a visitarlo ed è sedotta questa volta non dal piumaggio del partner ma dalla creazione del giardiniere che a questo punto si unisce a lei.
Nelle specie in cui entrambi i partner collaborano alle cure parentali bisogna che il maschio oltre che gagliardo sia anche un marito premuroso, un abile procacciatore di cibo, un valido, astuto e impavido alleato nella cura della prole.
I maschi del Martin pescatore devono offrire alla compagna un pesce appena pescato, il piccolo Scricciolo deve presentarsi con quattro o cinque nidi già costruiti perché la compagna ne scelga uno.
In entrambe le situazioni, maschio “inutile per le cure parentali” e “maschio collaborativo”, i maschi competono con gli altri maschi per aggiudicarsi i favori di una femmina, ma anche le femmine competono con le altre femmine per aggiudicarsi il miglior partito.
Charles Darwin, in coda alla sua opera L’origine delle specie, descrive la selezione sessuale come una grande forza capace di plasmare le specie e di accelerare l’evoluzione, poiché impone ai maschi vere e proprie trasformazioni nell’aspetto fisico e nel comportamento che permettono alle femmine di avere parametri validi per giudicare la bontà del partito, ma mette a serio rischio la sopravvivenza del maschio esibizionista.
L’etologo Oskar Heinroth sosteneva che la lunghissima e ingombrante coda del Fagiano Argo fosse uno dei più stupidi prodotti della selezione sessuale.
Anche le sgargianti penne della Paradisea oppure il palco del Cervo, che non serve per tenere bada i lupi, sono il prodotto della selezione esercitata dalle femmine, una selezione che nei casi estremi può portare a un vicolo cieco dell’evoluzione provocando la morte del maschio per incapacità di affrontare le normali difficoltà della vita.
Emblematico a tale proposito il caso del Cervo che si è estinto perché aveva le corna troppo grandi. Si tratta dell’Alce d’Irlanda, un cervide che aveva uno smisurato palco, molto più grande di quello dell’attuale Alce.
Poiché alle cerve piaceva un maschio così cornuto, generazione dopo generazione le dimensioni del palco andavano crescendo, ma poiché questo palco cadeva ogni anno e doveva essere riformato più grande, l’animale doveva impiegare un’enorme quantità di calcio che doveva ricavare dal pascolo.
Quando l’alimentazione non fu più in grado di fornire ai maschi la quantità di calcio sufficiente per riformare le corna, gli animali iniziarono a consumare le proprie ossa per edificare un palco del peso di decine di chilogrammi. L’osteoporosi fu la causa della morte dei più grandi cervi d’Irlanda e quindi dell’estinzione della specie, ma se vogliamo essere giusti in fondo la specie sparì per colpa delle cerve che volevano maschi con le corna sempre più grandi (Francesco Petretti)