L’olivo in Italia è pianta di enorme interesse economico (gran parte della produzione mondiale di olio extravergine di oliva è italiana), e di grande interesse sociale e culturale ( intere comunità del nostro Mezzogiorno hanno le loro radici e la loro ragione di esistere perché si dedicano da secoli alla coltura di questo magnifico albero sempreverde), ma è anche un elemento insostituibile del paesaggio , quel paesaggio in cui natura e opera dell’uomo si fondono ancora in modo armonioso.
Detto questo, la situazione innescata dalla diffusione della Xylella, batterio veicolato da un piccole insetto (un emittero di quelli comunemente noti come “sputacchine”) nel Salento è grave, non tanto per la prospettiva della morte delle piante colpite, quanto per la sproposita reazione , priva di buon senso e di fondamento scientifico, delle autorità europee che hanno pretesto l’abbattimento di tutte le piante, anche quelle sane, per un raggio di 100 metri intorno all’esemplare malato.
Il che significa , per ogni intervento, distruggere se non tutta almeno buona parte di una intera azienda ed estirpare circa 300 olivi, anche secolari, in perfette condizioni di salute.
Per fortuna la reazione degli olivicoltori, l’intervento delle associazioni di categoria, l’esperienza del Commissario del Corpo Forestale dello Stato che segue la situazione e la sentenza del TAR del Lazio hanno fermato lo scempio e hanno imposto una logica pausa di riflessione, rimettendo ogni decisione strategica alla conoscenza scientifica, all’ intelligenza, alla capacità di vedere nel futuro e di considerare il tutto e non le singole parti.
Pratiche colturali adeguate, anche la semplice morganatura del terreno sotto gli olivi per eliminare le possibilità d riparo agli insetti veicolo del batterio, già faranno molto: non c’è bisogno di uccidere trecento olivi per ogni pianta malata e poi, l’olivo, si sa, ha sette vite come i gatti. Magari quelli infestati l’anno dopo si rimettono a vegetare, a questo punto anche immunizzati (Francesco Petretti)
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