Una metà dell’Appennino, a est della dorsale, si sposta verso i Balcani, alla velocità di alcuni millimetri ogni anno, l’altra metà punta in un’altra direzione: il risultato è un impossibile stretching di montagne e rocce, valli e crinali.
La tensione che si accumula durante questo immane esercizio geologico ciclicamente esplode in un terremoto: Avezzano, Colfiorito, L’Aquila e Amatrice, solo per citarne alcuni.
Ormai ci siamo quasi abituati: pochi anni di quiete e poi la Terra si scuote.
I lampadari e i mobili tremano, i bicchieri tintinnano nelle vetrine, le case vengono giù, sbriciolate.
Siamo dolorosamente abituati a vedere paesi cancellati, concittadini dolenti, paesaggi cambiati in pochi attimi, economie distrutte, società colpite a morte.
Ecco, fino a questo punto è colpa della Terra, della Natura e noi , piccoli uomini, non possiamo fare nulla.
Poi entra in gioco la responsabilità degli esseri umani , che hanno costruito case e cittadine in luoghi insicuri, che hanno tirato su muri in fretta e con approssimazione, che hanno dimenticato le più elementari norme di prudenza e soprattutto il buon senso.
Come in tanti disastri, in tanti accadimenti delle nostre vite, le colpe non stanno mai solo da una parte, ma vanno divise in parti uguali e noi dobbiamo fare in modo, in futuro, che la nostra quota di colpa, quella imputabile all’errore umano, sia ridotta a zero. Teniamoci solo il 50 per cento attribuibile alla Natura: se fosse così, avremmo già fatto un grande passo avanti e non avremmo perso molte vite e molti beni.
Conosco le montagne di Amatrice e di Arquata del Tronto, di Accumoli e di Ascoli, dove i Sibillini incontrano i monti della Laga, i faggi crescono solenni, gli animali vivono selvaggi accanto a uomini antichi e laboriosi.
Vorrei che tutto tornasse come prima, meglio di prima, nella sicurezza e nella serenità, per quanto lutti e sofferenze non possano essere cancellate.
Si ricostruisca e soprattutto si rispetti questa natura che non è matrigna, ma spesso lo diventa per colpa degli uomini.
Lì si incontrano due grandi parchi nazionali, strumenti per la pianificazione del territorio, per la conservazione della biodiversità e per la valorizzazione di economie verdi e sostenbili: che siano essi il punto di partenza per un nuovo modo di vivere, abitare e costruire nelle nostre montagne amare, ma anche amate.
Solo così, nell’amore e nel rispetto della Terra e delle proprie montagne, Amatrice e le altre città ferite dal terremoto potranno risorgere, più belle e più ricche di prima.